Il picco dell’estetica hype in Italia (2015–2019)
C’è stato un momento, tra il 2015 e il 2019, in cui lo streetwear significava solo una cosa: essere hype. L’Italia, da sempre affamata di trend globali, entrò a pieno titolo in quella che oggi ricordiamo come la Hypebeast Era. Bastavano le domande “Quanto costa il tuo outfit?” urlate in mezzo a piazze e fiere per dare il via a una corsa all’accessorio più costoso. Alla sneaker più limitata. Al logo più visibile.
YouTube era il mezzo, la community hype il messaggio. Creators come Barengo, Diario Del Russo e Andrea Erati, oggi intervistato anche da podcast come LomaLounge by ZeroTreCinque, raccontavano l’ossessione per Supreme, Bape, Palace e Off-White con video diventati pietre miliari. Le file chilometriche fuori dai negozi durante i drop, la rivendita delle Jordan 1 “Chicago” a prezzi da capogiro, il grail hunting online. Tutto alimentava una cultura tanto giovane quanto totalizzante. Lo streetwear era diventato performance, rituale, status.
Perché è stata un’epoca breve ma iconica
Con il senno di poi, la Hypebeast Era sembra durata poco. Ma quel poco ha lasciato un segno profondo. C’è chi l’ha vissuta da ragazzino, cercando ispirazione nei vlog tra Roma e Milano. E chi, un po’ più grande, lavorava già in store o partecipava ai primi eventi street italiani, scoprendo che la moda stava cambiando pelle.
C’era qualcosa di potentissimo in quel momento storico. Il gusto era guidato da desideri semplici: essere visti, far parte di qualcosa, mostrare appartenenza. Non si trattava solo di hype, ma di identità condivisa. E oggi, anche se nessuno vorrebbe un ritorno completo a quell’estetica, un po’ di nostalgia ce la portiamo dentro tutti.
Dalla FOMO del logo alla ricerca del design
Oggi è tutto cambiato. I brand si sono moltiplicati, l’offerta è diventata fluida e sofisticata. Lo streetwear non è più sinonimo di logo a caratteri cubitali o resale record: è qualità, ricerca, archivi, silhouette. La FOMO di ieri, alimentata dalla rarità delle Yeezy o della Box Logo Supreme, ha lasciato spazio a una consapevolezza nuovo. Meno ostentazione, più espressione personale.
Il paradosso? Quelle felpe, quei look, quelle scarpe che ieri facevano parte di un’estetica di massa, oggi sono diventate reliquie culturali, punti di partenza per nuove narrazioni. La Hypebeast Era non tornerà, e va bene così, ma sarà sempre un capitolo fondamentale della cultura street, in Italia come nel resto del mondo.
Contenuto a cura di:
Giovanni Castellano